lunedì 11 maggio 2009

La doppia morte della cultura rumena



Alle volte, passeggiando tra le praterie di bloc, chiudo gli occhi e provo a immaginare la città prima della dittatura. Mi assale la dolce sensazione di una vita che scorre lenta, tra vie e vicoli costellati di case basse di stili diversi, con gli orti che, al ridosso del centro, formano un anello di congiunzione tra città e campagna.

Poi un giorno arrivarono al potere Ceauşescu e le sue ruspe e, come ogni regime che si rispetti, si scelse di far piazza pulita del passato. L'obiettivo era edificare 'l'uomo nuovo' socialista. Eppure a parole Nicolae mostrava attenzione per la memoria collettiva del suo Paese, affermando: “abbiamo un passato di cui possiamo andar fieri”. In pratica però, per costruire l'attuale Palazzo del Parlamento, il secondo edificio più grande del mondo dopo il Pentagono, l'ex presidente rumeno ha fatto radere al suolo circa 40.000 case graziose, un sesto della città.

Al loro posto distese di edifici di 10 piani, raramente di colori diversi dal grigio, che sembrano funghi velenosi spuntati dopo una pioggia particolarmente acida. Solo i bloc dei boulevard principali del centro ogni tanto sono arricchiti da ornamenti neo liberty o barocco real-socialista. I quartieri storici sopravvissuti al massacro culturale, Lipscani ad esempio, costituiscono una piccola parte del tessuto urbano, mentre fino a meno di cent'anni fa erano la norma.

Il suicidio culturale ha investito il Paese in lungo e largo. I piani, fortunatamente sventati dal crollo del muro, erano di dimezzare entro il 2000 il numero dei villaggi. Prima dell'89, a 29 città è stata cambiata faccia completamente, mentre ad altre l'opera di 'restyling' è cominciata e mai porata a termine.

A Giurgiu, piccola città sulle sponde del Danubio al confine con la Bulgaria, del centro storico si è salvata solo una torre. Quando ho chiesto che aspetto avesse la città nel passato, alcuni coetanei non mi hanno saputo rispondere. Ora Giurgiu si presenta come un triste labirinto di grigi palazzi squadrati di 4 piani, che si inseguono per tutto il perimetro cittadino.

Ovviamente non son stati risparmiati gli edifici di culto. Basti un esempio per afferrare l'entità della carica paranoica: il Monastero del Principe Mihai è stato spostato di quasi 300 metri, per nasconderlo alla vista.

Un simile sistematico tentativo di demolire secoli di cultura crea ancora spaesamento e la modernità, nei suoi aspetti deteriori, ha attecchito in fretta su un terreno culturale devastato. Un capitalismo dalle poche regole e facili guadagni per i soliti loschi figuri, sta portando a termine l'opera iniziata mezzo secolo fa.

Anche in Romania occorreva che tutto cambiasse perché tutto restasse com'era. Il panorama urbano non ha avuto il tempo di cicattrizzare le ferite della folle utopia sovietica, che le ruspe erano già al lavoro per innalzare altri bloc, costruiti in fretta e senza badare alla qualità, altrettanto fuori posto e ipocriti nella loro pretesa di eleganza che sfocia nel kitsch.

I pilastri della nuova vita delle città rumene son diventati i centri commerciali. A Piazza Unirii, centro della Bucarest di Ceauşescu, dove uno shopping mall ha preso il posto degli ex-magazzini di stato perennemente vuoti, gli enormi cartelloni pubblicitari disorientano. Come recita un adesivo comparso in metropolitana dopo il primo maggio: “i comunisti di ieri, capitalisti di oggi”.

2 commenti:

  1. Ciao Gabriele, mi chiamo Nicole.Ho trovato la tua descrizione assolutamente reale e veritiera.Ho "rivisto " tutto ciò che hai descritto e ho "sentito" tutto quello che hai espresso.
    A volte una descrizione lucida di ciò che appare è esattamente ciò che è!
    Ti lascio con una riflessione:si sente l'amarezza ma la Romania ci riserva ancora un sacco di sorprese....

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  2. la romania e una sorpresa solo per chi la vuole conoscere realmente.....bella sorpresa

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