lunedì 1 giugno 2009

Il denaro e l'amore che portano in Italia


Un'ossessione per il denaro sembra aver colmato il vuoto di valori scaturito dalla rivoluzione del 1989. Nella metrolitana osservo uomini che contano piccoli mazzetti di banconote. Dappertutto, colgo stralci di conversazioni in cui si snocciolano cifre e prezzi. Perfino la campagna elettorale per le europee vede uno dei partiti storici, il PNL, coniare uno slogan che turba il mio pudore piccolo borghese: “Bani pentru români. Bani europeni” (soldi per i rumeni, soldi europei) recitano i manifesti alludendo ai fondi strutturali europei.

Comprendo quest'ossessione per i 'bani' (si pronuncia 'bagn', la 'i' finale è muta), letteralmente le frazioni di leu, praticamente l'espressione comunemente usata per indicare il denaro. La comprendo andando al mercato o al supermercato, confrontando i prezzi simili a quelli italiani e provando a immaginare la fatica di far quadrare i conti con stipendi che sono la terza-quarta parte dei nostri.

La passione elementare per l'idolo degli idoli, che a ben vedere più che una passione è una necessità, è il motivo principale che spinge tanti rumeni a lasciare odori e sapori familiari per cercare fortuna in Italia.

Alin, mio collega, è stato chiaro. É tornato da meno di un anno da Roma e ha programmato di ripartire in settembre. Gli ho chiesto il perché, visto che in Italia, lui che è laureato, molto probabilmente riprenderà a fare il carpentiere. Mi ha risposto senza mezzi termini: ”guadagno 350 euro al mese e ne pago 200 per la stanza in cui vivo con mia moglie!” E il salario di Alin non è certo tra i più bassi.

Anche per chi è tornato dopo aver messo un gruzzolo da parte, la vita non è facile: Cristian, cinquantenne, ha vissuto sette anni in Veneto. Dopo il ritorno, ha aperto una piccola impresa edilizia che però stenta a trovare buone commesse, visto il sistema politico-clientelare che anche qui regna sovrano.

Non tutti partono spinti da esigenze economiche. Ramona sta per andare a Roma per il matrimonio di sua sorella e Rosario, calabrese. Entrambi informatici, si sono incontrati anni fa durante un corso di formazione.

Di solito le esperienze che i rumeni si portano indietro dall'Italia sono positive. Tutti parlano di una buona accoglienza, di buone condizioni di vita e di persone disponibili e con cui hanno stretto legami. Solo in un caso, parlando con Dominique, la cui mamma fa la badante vicino Piacenza, ho sentito tristezza nei silenzi tra le parole. Ma la storia di Dominique parla di altro, non della vita di chi parte ma del dramma di chi resta, che accomuna una generazione di giovani rumeni: Diana, ad esempio, ha 17 anni e vive sola con i nonni in un paesino vicino Focşani mentre i genitori lavorano alle porte di Milano; la sua amica Oana ne venti, il padre e i fratelli a Roma e qui in Romania solo sua madre.

I viaggi che dalla Romania portano nelle città italiane scaturiscono dall'impellenza reale e stringente di far fronte alla vita di tutti i giorni, di pagare affitto e bollette, anche se poi il bisogno si tinge di desiseri, speranze, sogni, affinità linguistiche e di cuore. Guardo contare mazzetti di banconote sbiadite e penso alle storie che ci racconterebbero, se solo potessero parlare.


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