mercoledì 8 aprile 2009

Un Paese normale


Un'idea falsa dei rumeni e della Romania è impressa nell'immaginario collettivo degli italiani. É il ritratto di un paese dimenticato da dio e popolato da uomini rozzi e lombrosianamente dediti alla violenza. Calpestando le vie di Bucarest, mi accorgo quanto questa rappresentazione sia lontana dalla realtà.
L'atterraggio è stato morbido. Il panorama all'aeroporto ricordava incredibilmente quello che avevo appena lasciato a Ciampino, con le insegne in lontananza di un megastore Ikea e i cartelloni pubblicitari di alcune catene della grande distribuzione presenti anche in Italia.

L'accoglienza non poteva essere più calorosa. Nel primo sabato di primavera, Ovidiu, giovane studente di giurisprudenza fan di Bob Dylan, mi ha accompagnato attraverso il centro storico, raccontandomi la storia di una città radicalmente mutata sotto la forte spinta economica degli ultimi anni e che da sempre nutre una grande ammirazione per la cultura e l'architettura occidentale. Non a caso qui si trova una copia dell'Arco di Trionfo, l'edificio della facoltà di giurisprudenza è ispirato all'ateneo di Padova e la vecchia sede del quotidiano “La scintilla”, organo ufficiale del partito prima del 1989, è stata costruita a immagine dell'Università Lomonosov di Mosca.

Appena arrivato, non potevo non visitare l'abnorme Palazzo del Popolo, oggi sede del parlamento, opera di uno dei più folli dittatori dell'ex impero sovietico, Nicolae Ceauşescu. Ho avuto il piacere e la fortuna di vederlo a luci spente, appariva più sobrio, quasi a misura d'uomo. Merito di un'iniziativa lanciata dal WWF, 'Earth hour', per sensibilizzare al risparmio energetico e alla difesa dell'ambiente. Sabato ha lasciato al buio il simbolo di un passato amaro. Bucarest è una delle 1000 città del globo che vi hanno aderito, e, candele in mano, nella Piazza della Costituzione una piccola folla prendeva parte a questa cerimonia laica.

Pensavo di partire per una terra assediata e invece nella capitale rumena, nonostante la crisi, si respira entusiasmo. Nei caffè affollati si incontra l'atmosfera leggera delle nuvole di fumo di studenti e business men, giovani fanno la fila per prendere posto a un piccolo festival organizzato dal Cinema Studio.
Fino a vent'anni fa, le file si vedevano solo fuori dai generi alimentari di stato che venivano riforniti saltuariamente. Alla scarsità cronica dei giorni del socialismo reale, si è sostituito un appetito difficilmente saziabile di status symbol, auto di grossa cilindrata, cellulari e vestiti alla moda. Sembra voler mostrare l'appartenenza a un mondo più grande, che si globalizza e delocalizza qui la produzione.

La Romania è un paese normale nelle sue contraddizioni. Solo, qui hanno il sapore dei romanzi di Dickens, la sonorità dei dialetti salentini e la vivacità tutta balcanica dei film di Kusturica. É animata dallo stesso disinteresse verso la politica che attraversa la penisola. Dalle ceneri del centralismo democratico è emersa una classe dirigente riciclata, nella quale pochi ripongono ancora fiducia, specialmente dopo il compromesso elettorale dello scorso anno che ha portato al governo una grossa coalizione che piace a pochi.

Sono rumorosi e anche qui scomodi. La comunità Rom è circondata dalla stessa diffidenza, anche se la musica che suonano l'ascolti praticamente ovunque. Manele, così chiamano questo strano miscuglio di musica gitana, base elettronica e influenze turche. I testi parlano di donne, denaro, successo. Bucarest è più vicina di quanto pensiamo.

(pubblicato il 31 marzo sul quotidiano L'Attacco)

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