

Se il fantasma del comunismo non si aggira più per l'Europa è anche merito di Timişora e dei suoi abitanti. Nella città rumena al confine con la Serbia, infatti, nel dicembre del 1989 aveva inizio la rivoluzione che avrebbe portato al crollo del folle regime di Ceauşescu e di sua moglie Elena.
Sono venuto nella 'primul oraş liber' – prima città libera della Romania, per un corso di formazione organizzato dalla ong presso cui sto svolgendo il tirocinio. E le domande che ho ripetuto per tre giorni ai miei giovani interlocutori sono state sempre le stesse: “che ne pensi, che ti ricordi della rivoluzione?”
Rivoluzione? Intanto molti affermano si sia trattato di un colpo di stato organizzato da alcuni membri della nomenclatura comunista, che avevano fiutato la fine di una dittatura che aveva perso ogni residuo di credibilità. Fatto sta che qui, nella città multietnica mèta prediletta degli imprenditori italiani, in quei giorni terribili di fine autunno di cadaveri eran piene le strade.
“Non so perché ti agiti tanto con questa rivoluzione. Comunque non interessa più a nessuno” (dal film “A est di Bucarest” di Corneliu Porumboiu). “I rumeni sono troppo impegnati ad affrontare la vita di tutti i giorni per pensare alla rivoluzione”. Lo dice Silvia, 22enne iscritta a odontoiatria, che delle manifestazioni di quei giorni ricorda che era sotto il tavolo, mentre dalla strada arrivavano i suoni degli spari e dei carri armati che cercavano di fermare i dimostranti inferociti. Sua madre era lì con loro. Aggiunge: “indubbiamente è stato un cambiamento positivo, ma...”
Animati da scetticismo, qualunquismo e disillusione, non mancano i nostalgici, o meglio gli 'ostalgici', come li chiamano in Germania. Sono i vinti di turno, coloro che non hanno beneficiato delle riforme politico-economiche. Non sono pochi, di solito anziani che fanno più fatica che mai a campare, con 50 euro di pensione che lo stato versa loro. Un tempo avevano tutto o almeno tutto quello di cui, secondo gli stretti canoni della pianificazione quinquennale, avevano bisogno. “La domenica mattina – mi dice Cristina, laureata in scienze politiche – si ritrovano in Piazza della Vittoria, accanto alla cattedrale ortodossa. Li vedo parlare in cerchio, mi pare rimpiangano il passato”. Rappresentano il blocco sociale che ha sancito la vittoria, nelle prime elezioni 'libere' dopo la fine del Patto di Varsavia, di Ion Iliescu, vecchia figura del regime che ha guidato la transizione.
In questi giorni i riflettori dei media sono puntati verso un altro personaggio controverso, un imprenditore rampante che ha fatto fortuna con la speculazione edilizia e ha poi acquistanto la Steaua Bucarest. Gigi Becali è finito in manette per aver rapito i tre che gli avevano rubato l'auto. Era entrato in politica forte dell'appoggio della popolazione delle campagne e usando lo strumento sempreverde della religione, stavolta ortodossa. Non ha avuto il successo sperato e si è fatto da parte. “Una testa vuota”, è l'appellativo che sento associare più di frequente al suo nome. Una storia già vista.
In Romania i giorni del totalitarismo sembrano acqua passata, alcuni addirittura paiono rimpiangerli. Le purghe, che da noi avevano l'odore nauseante dell'olio di ricino, fanno sempre meno colpo sulle coscienze assopite. Come recita un brano rap famoso da queste parti, “Italia (lapsus, ovviamente volevo dire Romania), svegliati!”
(pubblicato il 7 aprile sul quotidiano L'Attacco)
Sono venuto nella 'primul oraş liber' – prima città libera della Romania, per un corso di formazione organizzato dalla ong presso cui sto svolgendo il tirocinio. E le domande che ho ripetuto per tre giorni ai miei giovani interlocutori sono state sempre le stesse: “che ne pensi, che ti ricordi della rivoluzione?”
Rivoluzione? Intanto molti affermano si sia trattato di un colpo di stato organizzato da alcuni membri della nomenclatura comunista, che avevano fiutato la fine di una dittatura che aveva perso ogni residuo di credibilità. Fatto sta che qui, nella città multietnica mèta prediletta degli imprenditori italiani, in quei giorni terribili di fine autunno di cadaveri eran piene le strade.
“Non so perché ti agiti tanto con questa rivoluzione. Comunque non interessa più a nessuno” (dal film “A est di Bucarest” di Corneliu Porumboiu). “I rumeni sono troppo impegnati ad affrontare la vita di tutti i giorni per pensare alla rivoluzione”. Lo dice Silvia, 22enne iscritta a odontoiatria, che delle manifestazioni di quei giorni ricorda che era sotto il tavolo, mentre dalla strada arrivavano i suoni degli spari e dei carri armati che cercavano di fermare i dimostranti inferociti. Sua madre era lì con loro. Aggiunge: “indubbiamente è stato un cambiamento positivo, ma...”
Animati da scetticismo, qualunquismo e disillusione, non mancano i nostalgici, o meglio gli 'ostalgici', come li chiamano in Germania. Sono i vinti di turno, coloro che non hanno beneficiato delle riforme politico-economiche. Non sono pochi, di solito anziani che fanno più fatica che mai a campare, con 50 euro di pensione che lo stato versa loro. Un tempo avevano tutto o almeno tutto quello di cui, secondo gli stretti canoni della pianificazione quinquennale, avevano bisogno. “La domenica mattina – mi dice Cristina, laureata in scienze politiche – si ritrovano in Piazza della Vittoria, accanto alla cattedrale ortodossa. Li vedo parlare in cerchio, mi pare rimpiangano il passato”. Rappresentano il blocco sociale che ha sancito la vittoria, nelle prime elezioni 'libere' dopo la fine del Patto di Varsavia, di Ion Iliescu, vecchia figura del regime che ha guidato la transizione.
In questi giorni i riflettori dei media sono puntati verso un altro personaggio controverso, un imprenditore rampante che ha fatto fortuna con la speculazione edilizia e ha poi acquistanto la Steaua Bucarest. Gigi Becali è finito in manette per aver rapito i tre che gli avevano rubato l'auto. Era entrato in politica forte dell'appoggio della popolazione delle campagne e usando lo strumento sempreverde della religione, stavolta ortodossa. Non ha avuto il successo sperato e si è fatto da parte. “Una testa vuota”, è l'appellativo che sento associare più di frequente al suo nome. Una storia già vista.
In Romania i giorni del totalitarismo sembrano acqua passata, alcuni addirittura paiono rimpiangerli. Le purghe, che da noi avevano l'odore nauseante dell'olio di ricino, fanno sempre meno colpo sulle coscienze assopite. Come recita un brano rap famoso da queste parti, “Italia (lapsus, ovviamente volevo dire Romania), svegliati!”
(pubblicato il 7 aprile sul quotidiano L'Attacco)
Ciao! It's me, Ovidiu!
RispondiEliminaYou made this page to look so much prettier! I like it! Congratulations!
And congrats for another well written article. Indeed there is a debate regarding the events of december 1989. Some people say it was a coup d'etat and then others say it was a revolution. When I was studying for a test this week, I found this quotation in one of my books: "A revolution is a successful coup d'etat."
If we were to take these words seriously, we should first see whether the events of 1989 were successful or not. Success is a relative notion and even after 20 years from the revolution people argue on the success of the revolution. Therefore, I believe that we should let time pass because in a few decades we will be able to think of the revolution in a more detached way, we will be able to see a larger and clearer picture of 1989 and its consequences.
I'm looking forward to reading more of your articles!
Keep on Romania dreaming :))